Il tempo ci rincorre. Giorno quarantacinque

Giorno Quarantacinque, tempo

tempoIl tempo che scorre fa sempre paura.
Ti riempie le mani e poi ti strappa via tutto.
Sempre.
Da bambina aspettavo di diventare grande. Il tempo non mi passava mai.
Si dilatava. Allungava le tue giornate, rimandava le tue paure.
Un giorno, d’improvviso, ti si presenta davanti.
Porta il suo conto: un infinito foglietto ricco di voci.
Ci sono i tuoi sogno, le tue speranze, le tue più remote paure, le tue mille domande da soddisfare, le tue curiosità.
Su quel foglio ci sei tu.
Il tuo passato. Il tuo presente. Il tuo futuro.
Capisci che non puoi combatterlo: devi stringere un’alleanza con lui. Senza esitazioni né ripensamenti.
Può essere un tuo fedele compagno di viaggio, di vita.
Addomesticalo.
Il tempo non si rincorre, ci rincorre!
Tu aspettalo e sfidalo. Poi vincilo e fanne un tuo alleato. Un giorno ne capirai l’importanza.

Non esiste un ieri, un oggi o un domani.
Esiste un tempo per prendere e uno per dare.
E tu non hai ancora ricevuto abbastanza.

“Ieri ho dormito a lungo. Ho sognato che ero morto. Vedevo la mia tomba. Era abbandonata e coperta di erbacce.
Una vecchia passeggiava tra le tombe. Le ho domandato perché non curava la mia.
È una tomba molto antica, mi ha detto. Guardi la data. Nessuno può più conoscere chi è sepolto qui.
Ho guardato. Era l’anno in corso. Non ho saputo cosa rispondere.
Quando mi sono svegliato era già notte. Dal mio letto vedevo il cielo e le stelle. L’aria era trasparente e dolce.
Camminavo. Non c’era nient’altro che il camminare, la pioggia, il fango. I miei capelli, i miei vestiti erano bagnati, non avevo scarpe, camminavo a piedi nudi. I miei piedi erano bianchi, nel fango la loro bianchezza risaltava. Le nuvole erano grigie. Il sole non s’era ancora levato. Faceva freddo. La pioggia era fredda. Anche il fango era freddo.
Camminavo. Incontravo altri passanti. Camminavano tutti nella stessa direzione. Erano leggeri, pareva fossero senza peso. I loro piedi senza radici non si ferivano mai. Era la strada di chi ha lasciato la propria casa, di chi ha lasciato il proprio paese. Quella strada non portava in nessun luogo. Era una strada dritta e larga che non aveva fine. Attraversava le montagne e le città, i giardini e le torri, senza lasciare traccia dietro di sé. Quando ci si voltava, era scomparsa. C’era strada solo davanti. Da una parte e dall’altra si distendevano immensi campi fangosi.
Il tempo si lacera. Dove ritrovare i prati della mia infanzia? I soli ellittici rappresi nello spazio nero? Dove ritrovare il cammino che oscilla nel vuoto? Le stagioni hanno perduto il loro significato. Domani, ieri che vogliono dire queste parole? Non c’è che il presente. Una volta nevica. Un’altra volta piove. Poi c’è un po’ di sole, un po’ di vento. Tutto ciò è adesso. Non è stato, non sarà. È. Sempre. Tutto insieme. Perché le cose vivono in me e non nel tempo. E in me tutto è presente.
Ieri sono andato sulla riva del lago. Adesso l’acqua è molto nera, molto cupa. Le sere trascinano tra le onde i giorni dimenticati. Se ne vanno verso l’orizzonte come se navigassero in mare. Ma il mare è lontano da qui. Tutto è così lontano.
Credo che presto sarò guarito. Qualcosa si romperà in me o in qualche parte dello spazio. Partirò verso altezze sconosciute. Sulla terra non c’è che la mietitura, l’attesa insopportabile e l’inesprimibile silenzio.”

“Ieri” di Agota Kristof