Su un giorno di dolore. Giorno cinquantacinque

Giorno Cinquantacinque, dolore

doloreIl dolore è un viaggio senza destinazione e tu hai comprato un biglietto.
Prima fila, solo andata.
Viaggi da anni senza sosta, ma improvvisamente hai voglia di fermarti.
Hai voglia di smettere.
Quello che vuoi è lasciare da parte il dolore. Per una volta, una volta soltanto – sperando che sia eterna – quello che vuoi è sentirti.
Hai voglia di chiudere gli occhi per vedere, nel buio, solo la tua immagine. Come quando sul palcoscenico di un teatro il riflettore punta la sua luce su di te.
Vuoi stare in piedi al centro della scena, ma non vuoi occhi puntati addosso.
Il tuo dolore lo vivi in silenzio.
Non serve una mano che ti risollevi: due, le tue, ti bastano.
Ma non è ancora il loro momento. Le braccia ti fanno ancora male così come le gambe. E le mani tremano.
La tua voce è spezzata…
Sei in una camera oscura. Hai sviluppato tutte le istantanee del viaggio, ma tutto quello che trovi impresso è un movimento confuso.
Su quelle fotografie ci sei tu e il mondo intero, anche se non si vede.
Non lo vedi tu!
Perché quando il dolore alberga in te ogni particolare viene cancellato, le sensazioni alterate…

Ieri ho fatto un sogno. C’eri anche tu.
Poi mi sono svegliata e il cuore mi faceva male e tu ti eri dissolto.
Come le candida neve sotto i raggi del tiepido sole primaverile. Come i banchi di nebbia…
Tu eri andato via. Il dolore era ancora lì.
Ma il più delle volte si riesce a sopravvivere. Alzi la testa, asciughi i tuoi occhi e indossi il tuo sorriso migliore.
Fai un respiro a pieni polmoni e riattacchi.
Perché la vita la devi aggredire e non lasciare che ti scorra davanti come le scene di un film che non ti coinvolge.
Non puoi permetterti distrazioni.
Così riprendi il viaggio.

La verità è che il dolore è un viaggio.
E per viaggiare devi avere coraggio.

«Ci siamo fraintesi ostinatamente, come per proteggerci da qualcosa. Custodimmo il non capirsi per una discrezione e un pudore: ora so che questo conserva gli affetti. Fu una rinuncia e una preclusione ottemperata come una norma, sconosciuta alla volontà come un istinto. Fraintendersi fu giusta condizione, capirsi non poteva servirci. Poteva durare in eterno, non mi sarei mai stancato».

Erri De Luca, “Non ora, non qui”