La mia idea di felicità. Giorno sessantaquattro

Giorno Sessantaquattro, la felicità

felicità

Il dolore segna. Il dolore insegna.
È l’unica cosa che sono riuscita a imparare e non l’ho trovata scritta in nessun manuale. Non te lo insegna nessuno, al massimo lo impari leggendo qualche frase sui muri delle città. Lo capisci da sola mentre passeggi per strade che non riconosci; quando rientrando ti chiudi la porta alle spalle, ma non ti senti a casa; quando cerchi quegli occhi ovunque, ma non li trovi da nessuna parte; quando vuoi stringere quelle due mani, ma non ricordi più neanche come sono fatte.
Il dolore segna. Il dolore insegna.
Devi solo essere disposta a metterti in gioco; essere pronta ad accettare la sfida della vita. Se ne sei convinta, se far parte di questo gioco non ti mette paura… puoi iniziare. Sei pronta.
E allora inizia dalla constatazione – banale, ma mai scontata – che la felicità fatta dalle persone e dalle cose non esiste. Almeno non in questo mondo… e questo è l’unico mondo che conosco. Le persone non saranno mai completamente tue e le cose potranno anche appartenerti per sempre, ma tu cambierai e sarai tu a non appartenere più a loro.

Si perde così tanto tempo in questa caccia che quasi dimentichiamo che non stiamo andando da nessuna parte. Non esiste una meta, non sarà di certo la felicità. La meta sei tu.
Come quando pensi di essere arrivata al taglio del traguardo e poi, improvvisamente, il percorso si deforma e tu devi correre. Ancora. Sempre più veloce.
Ho capito che devi star male per guarire, devi gustare le lacrime per tornare a sorridere; che devi perderti per trovarti, devi scappare per saper tornare. Io ho dovuto perderti per sapere che c’eri ancora. Ho dovuto lasciarti andare per sapere che non eri andato da nessuna parte. Che quando scappi, alla fine torni da me. Sempre.
Cercare di possedere l’idea della felicità è come pensare di far tua per sempre una persona. Le persone non si finiscono di conquistare mai e darle per scontate è l’errore più grande che si possa commettere. Una persona non sarà mai tua, anche se questa è l’unica cosa che desideri veramente.

Ho imparato che il dolore ti priva di ogni forza, ma ti offre anche una via d’uscita, una possibilità. Ho capito che tutto ciò che segna, ti insegna.
Tu sei passato e hai lasciato il segno. Mi fai male, male davvero. Ma è un dolore che vale la pena.
Vali la pena sempre.
Il dolore, come la felicità, è solo una condizione dell’anima.
Tu sei condizione di vita.
Mi hai segnata. Vorrà pur dire qualcosa, non pensi?

Io alla felicità non ci credo più. Ma credo a te_

“Non voglio tragitti senza massi, persone senza problemi, ancora meno glorie senza lacrime. Non voglio il tedio del continuare appena, l’obbligo del sopportare, muovermi nella routine solo per avanzare. Non voglio il «più o meno», il «così è la vita», il «si deve», nulla che mi faccia gemere. […] Non voglio il sole tutto il giorno, la retta senza la minima curva, non voglio il nero liscio né il bianco immacolato, non voglio la poesia perfetta né l’ortografia illesa. […] Voglio ancora tentare quel che nessuno ha mai fatto, guardare l’imperdonabile, sperare da folle le possibilità. Voglio soprattutto quel che mi spaventa, l’abisso in segreto…
[…]
Quello che fa male non è mai giusto, ecco l’unica verità giusta. Sono passati gli anni, ci sono stati tra noi donne e uomini, e anche rughe e figli, ma quando pensavo al valore della vita cercavo soltanto te, capire dove fossi e cosa stessi facendo. […] Ho capito (l’ho hai capito anche tu?) che non smettiamo mai di essere quello che amiamo.”

tratto da “Prometto di sbagliare” di Pedro Chagas Freitas