Le strade di un sogno. Giorno ventisei

Giorno ventisei, strade

strade sognoTemo il sonno. Il suo modo di trasportarti dove tu non osi arrivare.
Temo quel mondo fantastico, ma che ti sembra così realistico da farti provare tutto sulla tua stessa pelle.
Gli odori. I dolori.
Ti svegli con un respiro affannoso e gli occhi bagnati e non sai perché.
Temo la mia mente e la mia immaginazione, una bomba a orologeria.
Una catapulta che ti lancia nel mondo dei sogni e, più spesso, nel mondo degli incubi.
In queste ultime notti ho esplorato quel mondo troppo volte, troppo a fondo.
Ho conosciuto ogni angolo. Mi sono persa in un labirinto onirico che ritrovo ogni sera.
Riparto sempre dallo stesso punto. Mi ritrovo nel luogo in cui ero rimasta.
Da lì riparto verso un groviglio di strade che non so dove mi condurrà.
Un sogno è l’espressione più alta del senso dell’impotenza.
“Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita” – scriveva Shakespeare.
Un sogno si spezza al mattino, ma durante il giorno si ricuce e alla sera te lo ritrovi davanti.
Così come le ferite che si rimarginano, ma iniziano a sanguinare non appena ci passi col dito di spora.
Ci sono sogni fragili e incubi spaventosamente dispotici.
Monopolizzano le tue giornate e ti condizionano al punto tale da importi determinati comportamenti.

Temo il sonno e il buio.
Temo i sogni e dove mi portano.
Temo le strade e l’errare continuo.

Strade che si lasciano guidare forte.
Poche parole, piogge calde e buio; tergicristalli e curve da drizzare.
Strade che si lasciano dimenticare.
[…]
Sento a pochi metri da me quello che c’era
e vorrei trovare la forza di voltarmi
perché se stai svanendo, io non ci riesco a stringere più a fondo
Ora che sotto il mondo
vorrei che tu fossi qui, che fossi qui

Strade, Subsonica